Gli autori hanno raccolto attraverso brevi racconti, delle storie che tratteggiano stralci di vita ed esperienza di persone con sofferenza mentale, la finalità di questo libro è infatti anche quella di descrivere alcune sfaccettature della malattia mentale, attraverso lo strumento della narrazione, ma non è esclusivamente questo. Non delle asettiche "storie cliniche" per addetti ai lavori ma vicende concepite con l’immaginazione e la creatività senza tuttavia tralasciare gli spunti tratti dall’osservazione effettuata durante il lavoro sul campo.
Con lo strumento del racconto hanno voluto ricostruire le possibili esperienze di vita delle persone affette da sofferenza mentale grave, dei suoi familiari e degli operatori che in prima linea condividono con questi ultimi percorsi di fatica, di sofferenza e spesso di ostinata determinazione. Parallelamente hanno voluto far affiorare alcuni lineamenti della malattia mentale così come può manifestarsi agli occhi della società.
In Racconti schizofenici, eventi e situazioni, stati d’animo ed emozioni danno vita a vicende personali dove il lettore potrà cogliere alcuni aspetti della patologia, da diverse prospettive, potendo così riflettere sulla diversità e sulla complessità della malattia e sulla variegata costellazione dei disturbi ad essa correlati.
Ogni storia narrata ha caratteristiche e peculiarità proprie, ma hanno tutte come denominatore comune lo scompiglio non solo della vita familiare, lavorativa e sociale del paziente, ma sempre più spesso anche quella degli operatori socio-sanitari coinvolti nel percorso riabilitativo.
Come si legge nella introduzione di Alberto Santoru (Psicologo, Psicoterapeuta): in questi brevi racconti si colgono delle prospettive esperienziali: i familiari, gli operatori, raramente i pazienti, perché il loro vissuto è inesprimibile per l’osservatore. E questo approccio “fotografico”, dove la scelta dell’angolatura appare dichiarata, è il contrario della mistificazione, della supponenza del letterato e lascia al lettore la possibilità di ricevere una impressione assolutamente personale.
Gli autori manifestano la loro capacità umana e professionale nella sensibilità che mostrano nel cogliere soprattutto le atmosfere, gli sfondi, i particolari apparentemente insignificanti, in grado di trasmettere il loro vissuto della “malattia”.
Alle volte non riescono a nascondere di essere parte della fotografia e neppure, probabilmente, lo vorrebbero. [...]
Gli autori, forti dell’esperienza “sul campo”, a contatto quotidiano con la realtà delle persone con sofferenza mentale e con le loro famiglie, fuori dagli ambulatori o da privilegiate oasi di osservazione, manifestano tutta la drammaticità dell’impatto con
una problematica complessa che richiede risposte articolate che coinvolgano servizi psichiatrici, familiari, utenti, associazioni, agenzie sociali e richiedono politiche sociosanitarie che riconoscano la caratteristica multifattoriale dei disturbi mentali.
Questo libro non è un manuale diagnostico e non può essere utilizzato in tal senso, ma nell’intenzione degli autori vuole rappresentare uno strumento e un modesto tentativo per il superamento del pregiudizio.
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Francesco Codato ha già pubblicato con Edizioni Psiconline: Che cos’è l’antipsichiatria? Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria (2013) e da pochi giorni è in libreria Che cos'è la malattia mentale (nella collana Ricerche e Contributi in Psicologia). Un volume davvero interessante, che vogliamo conoscere più approfonditamente, per questa ragione rivolgiamo alcune domande all'autore per capire meglio che cos'è la malattia mentale.
D. Da cosa nasce l’esigenza di scrivere un testo che tratti delle varie definizione della malattia mentale fornite da discipline diverse?
R. Occupandomi di filosofia della medicina e specificamente di bioetica che è una disciplina che fa dell’interdisciplinarietà la sua essenza, mi è capitato di partecipare a convegni, presentazioni di libri, dibattiti ecc. inerenti le differenti problematiche relative alla malattia mentale. Ciò che ho notato è che in queste occasioni, seppur al centro ci fosse il concetto di malattia mentale, esso fosse completamente indefinito ed aperto a teorie sempre diverse, le quali però non dialogavano tra loro. Una cosa era parlare di malattia mentale con antropologi e sociologi, tutt’altro era parlare della medesima con psichiatri e medici, o ancora differente era parlare con psicologi e teologi. Ciò che intendo dire è che sebbene tutti abbiamo a cuore i differenti problemi inerenti alla malattia mentale, non parliamo della stessa cosa quando ci riferiamo ad essa, come se la malattia mentale fosse indeterminata per natura. La constatazione di questa incomunicabilità di fondo tra le varie discipline mi ha portato all’elaborazione di questo libro, in cui ho tentato di riassumere le differenti posizioni espresse dalle stesse sull’oggetto comune “malattia mentale”, tentando di farle dialogare.
D.Nel libro si parla della malattia mentale quale male epocale, cosa vuoi intendere esattamente?
R. Ogni epoca ha delle caratteristiche peculiari, una di queste è sempre stata quella di conferire valore a determinate forme patologiche. Allo stato attuale mi sembra che il dibattito in costante aumento attorno alle differenti forme di disturbi mentali stia riconoscendo nella patologia psichica la fonte discorsiva e patologica principale della nostra epoca. Non è un caso, ad esempio, che la depressione sia per l’OMS una delle malattia più diagnosticate al mondo e sia per tutti noi patologia, purtroppo, comune che possiamo rinvenire facilmente in amici, parenti o in noi stessi. Proprio per questo la depressione è, secondo me, un esempio denso di significato, poiché se cogliamo i dati della sua diffusione possiamo capire quanto i disturbi mentali condizionino e siano presenti nella nostra epoca, ma di pari passo se cogliamo gli stessi dati in maniera totalmente acritica rischiamo di scambiare tante nostre emozioni quali forme di depressione.
Per questo mi sembra che alla base di molti discorsi inerenti alle patologie mentali si scambi l’esigenza importantissima di classificare le malattie con la volontà, ancora più importante, di fare il bene del paziente. In altre parole, siamo così esasperati dal voler trovare il patologico in ogni situazione da non riuscire più a focalizzarci sul soggetto in cura, sulla singolarità del vivere e di esperire il dolore di quel soggetto. Potremo quasi dire che oggi si presta molta attenzione all’oggetto patologia mentale, ma non si presta altrettanto attenzione al soggetto malato.
D. In questo senso si può ricollegare il discorso espresso nel libro attorno alla differenza tra una verità della malattia mentale e una verità sulla malattia?
R. Esattamente, il punto centrale del libro è proprio il voler riflettere attorno allo spostamento della ricerca di verità della malattia mentale alla ricerca di senso della patologia, ovvero un tentativo di riflettere sulle strutture di esistenza della stessa. Il che vuol dire focalizzare il dibattito sia sulle strutture “universali” dei vari disturbi, sia sulle modalità attraverso le quali queste vengono vissute singolarmente dai soggetti. In quest’ottica è doveroso ricordare che ogni persona ha una propria cultura, si trova a far parte di un gruppo, che può essere rappresentato dalla famiglia, da un gruppo sportivo, da una particolare classe professionale ecc., inoltre la stessa può orientare la propria visione del mondo per mezzo di una religione o di credenze personali, le quali si accompagnano spesso alle possibilità economiche e allo status sociale in cui è inserita la medesima persona. Dimenticare queste sfere, quando si fa una diagnosi psichiatrica, rappresenta, secondo me, una maniera di ridurre il soggetto ad oggetto, non prestando realmente cura alla sua sofferenza, che in quanto tale è sempre personale e singolare.
D. La chiave per non ridurre la persona è secondo te il dialogo interdisciplinare?
R. La proposta che avanzo in questo testo è proprio quella di far interagire gli specialisti di settori e materie differenti, poiché in una situazione di cura abbiamo prima di tutto davanti a noi un soggetto con la sua particolare storia di vita. L’ascolto delle differenti soggettività che si presentano davanti a noi dovrebbero portarci a capire che per quanto un professionista sia bravo nel proprio ruolo, egli padroneggia un unico linguaggio, il quale si dimostra in ogni caso limitato e limitante nel tentativo di comprendere la dimensione umana che si presenta in cura. Mi sembra necessario cogliere la nostra utilità verso il soggetto che soffre, ma di pari passo mi sembra necessario riflettere anche sulla nostra limitatezza. Per questo è fondamentale rivolgersi a tutti i saperi sull’uomo i quali, nella loro parzialità, possono fornire dettagli differenti al terapeuta sulla vita del soggetto tali da adottare posizioni diverse nei confronti di alcune “evidenze” diagnostiche.
D. Questo porta ad una contrapposizione tra riduzionismo ed olismo?
R. Il discorso potrebbe anche essere tradotto totalmente in questi termini, ovvero il passaggio tra il to cure che vuol dire essere in grado di curare dunque di intervenire in maniera puramente tecnica sulla malattia e il to care, che significa prendersi cura in maniera umanistica, ovvero riuscire ad integrare il sapere tecnico-specialistico con l’analisi degli aspetti che donano senso alla dimensione singolare e propria del soggetto che vive ed elabora la crisi prodotta dallo stato patologico.
D. Quindi, secondo te, la sfida maggiore di oggi all’interno dell’intervento terapeutico è costituita dalla costruzione di un dialogo che punti a realizzare una pratica olistica della cura?
R. Penso che ciò che oggi viene chiesto ai medici, in questo caso agli psichiatri, sia uno sforzo enorme e difficilissimo, ovvero quello di comprendere il paziente, dovendo restituire senso e significato al lavoro tecnico che si sta compiendo senza ridurre lo stesso atto alla dimensione espressiva donata dalla sola esecuzione diagnostica. Non è possibile abbandonare i medici a questo durissimo lavoro, ma bisogna aiutarli collaborando con loro e portando le diverse sfaccettature che i nostri differenti saperi, filosofico, economico, giuridico, religioso, psicologico ecc, ci permettono di evidenziare nei soggetti in cura. La sfida che oggi ci attende è quella di riuscire a costruire un dialogo interdisciplinare proficuo che, tenendo conto delle mille variabili che costituiscono una vita singola, possa aiutare sempre di più ad alleviare le sofferenze dei soggetti in cura.
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Sappiamo cos’è la malattia mentale? Sappiamo definirla? Cogliamo cosa essa rappresenta per la società stessa? La risposta sembrerebbe scontata, eppure se si cerca in una vasta serie di manuali sia riguardanti l’ambito psichiatrico (su tutti il DSM), oppure in campo psicanalitico (PDM), filosofico, sociologico o giuridico, non esiste una definizione precisa di che cosa sia la malattia mentale.
Ciò che si può facilmente constare consultando tali manuali è che la definizione della malattia mentale o manca totalmente come nel caso del DSM, oppure dove è presente, nei vari manuali di filosofia, sociologia etc., serve unicamente come modello confutativo di alcune teorie.
Non è presente in alcun manuale una definizione “di fondo” che possa identificarsi come universale, ovvero che possa essere riscontrata e accettata non solo da tutte le discipline, ma anche da correnti diverse presenti all’interno di una medesima disciplina. Le rare definizioni che si ritrovano di malattia mentale servono unicamente all’instaurazione di un gioco delle parti, ovvero si rendono utili per la legittimazione di un particolare modo di guardare al disagio psichico funzionale al sorreggere la costituzione di un sistema terapeutico che si vuole propagandare. La malattia mentale invece sfugge a questa chiara definizione.
Si può quindi asserire che seppur la malattia mentale sia per numero di diagnosi, di pubblicazioni e d’interesse per le scienze della natura e dell’uomo l’oggetto di culto della nostra epoca, s’ignora ancora cosa essa sia.
Lo scopo del libro Che cos'è la malattia mentale è quello di ovviare a questo problema prendendo ad esame le risposte che le differenti discipline (psichiatria, storia, antropologia, sociologia, filosofia, religione, diritto, economia e bioetica) hanno elaborato e tuttora elaborano riguardo a tale fenomeno, mostrando come esso non possa che essere compreso adottando uno sguardo interdisciplinare, tendente a valutarne la sua complessa natura. Infatti, solo in questo modo diviene possibile guardare alla totalità del fenomeno della malattia mentale, ponendo le basi per l’edificazione di un sistema di cura olistico che non consideri la malattia mentale unicamente come un insieme di sintomi, ma che la comprenda come una dimensione propria e singolare. Tutto ciò porterà ad interrogarsi non più attorno alla verità della malattia mentale, ovvero unicamente ad identificare delle patologie universali che valgono di per sé, ma ad interrogarsi sulla verità della malattia mentale, dunque a compiere un’analisi di tutte le componenti sociali, culturali, economiche e biologiche legate al vissuto soggettivo che portano all’esistenza di quella determinata forma patologica.
Che cos'è la malattia mentale è rivolto a tutti, studiosi, studenti, addetti ai lavori sulla salute mentale e non.
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Dopo i saluti della Presidente dell’Ordine Psicologi Campania Antonella Bozzaotra, l'introduzione è stata curata dalla Vicepresidente dell’Ordine Psicologi Campania Lucia Sarno. Hanno discusso con l’autrice, Paolo Gritti, Psichiatra, Psicoterapeuta e Professore di Psichiatria presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, Marisa Iavarone, Professore Associato in Pedagogia generale e Responsabile scientifico dello “Sportello di Sostegno alla Genitorialità competente” presso l’Università Parthenope di Napoli, Enzo Sarnelli, Psicologo e Psicoterapeuta, Socio fondatore dell’Associazione Oltre Onlus di Ischia, e Maria Scala, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico-relazionale presso il Centro di Psicologia Clinica Territoriale Essebi di San Giorgio a Cremano.
Il lavoro affonda le radici su una salda impostazione teorica - richiamata peraltro nel testo - che parte dallo studio dell’attuale organizzazione scolastica per comprenderne il mandato sociale nella società complessa e giungere alla definizione di qualità e caratteristiche dell’intervento psicologico più utile nei contesti scolastici.
Il lavoro, naturalmente, non prescinde da una precisa e ampia analisi della domanda dei committenti (alunni, genitori, insegnanti, operatori sociali e chiunque abbia bisogno di un supporto di questo tipo).
La presentazione è stata un momento di riflessione e di crescita e un riconoscimento per il il lungo e faticoso lavoro svolto da Annamaria Improta, come si evince dalle interventi dei relatori che parzialmente pubblichiamo:
"Il libro evidenzia la necessità di valorizzare le diversità come “valore aggiunto” ed offre l’opportunità - ha sottolineato Maria Scala, psicoterapeuta presso Centro di psicologia clinica “essebi” - di ripensare alle proprie esperienze e le proprie azioni ricostruendone il senso ed indicando le possibili prospettive di sviluppo".
“Il volume si offre quale valido strumento interpretativo della relazione educativa e di cura nei contesti formali, non formali ed informali, rinforzando la trama dell’alleanza formativa tra scuola, extra scuola e famiglia. La lettura, oltre all'ambito delle professioni psicologiche e di cura” - ha aggiunto la docente di Pedagogia della relazione all’Università Parthenope Maria Luisa Iavarone - “è utilmente diretto a insegnanti, educatori, genitori e a chi a vario titolo è impegnato nei processi formativi e di sviluppo”.
Alla base il “modello” dell’esplorazione dei propri ricordi e la conoscenza di sé, per arrivare all’incontro con l’altro e all’accettazione delle differenze. Al testo, inoltre, sono allegate numerose schede operative, immediatamente utilizzabili, che forniscono al lettore strumenti operativi di rapida applicazione.
“Il libro di Annamaria Improta è sicuramente un "buon service" per la scuola e per tutti gli attori coinvolti nei processi di formazione e apprendimento nella relazione io-tu-noi nel qui ed ora della realtà analogica” ha aggiunto Enzo Sarnelli, psicoterapeuta e mediatore familiare.
Al centro del lavoro, dunque, il metodo narrativo-autobiografico, la necessità del racconto autobiografico. Il libro, quindi, ha una doppia “anima”: una psicologica, l’altra pedagogica.
"Il punto è oggi nella riorganizzazione dei percorsi didattico-educativi: non più obiettivi comuni per tutti ma obiettivi differenziati per i diversi studenti, in grado di valorizzare le differenze” ha sottolineato Paolo Gritti, psichiatra, psicoterapeuta e docente di Psichiatria presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, che ha aggiunto “come dal punto di vista della teoria dei sistemi complessi, una buona funzione pedagogica dovrebbe affrancarsi da esiti ordinati o al contrario caotici, per porsi in equilibrio dinamico, affine alla configurazione “sull’orlo del caos”: è questa la nuova mission della scuola, intesa come sistema complesso in continua evoluzione”.
L'autrice è Psicologa clinica e di comunità, Psicoterapeuta, Docente a contratto presso l'Università degli Studi di Salerno e coordinatrice del Progetto DSA - Divertirsi Sapendo Apprendere presso il Centro di Psicologia Clinica Territriale Essebi di San Giorgio a Cremano.
Intervento psicologico per la scuola e metodi narrativi ha l’intento di suggerire vie e modalità per la risoluzione dei conflitti.
L’autrice propone metodi operativi concreti, basati sulla conoscenza di sé per arrivare alla conoscenza e all’accettazione della diversità dell’altro.
Il metodo utilizzato nel presente lavoro è la narrativa autobiografica e nel corso del testo viene argomentata una riflessione sull’utilizzo di tali metodi in ambito scolastico.
Attraverso il metodo narrativo-autobiografico gli studenti vengono invitati a raccontarsi allo scopo di avviare una riflessione volta a ricostruire e, dunque, riconoscere come apprendono, attribuendo senso a tale processo.
L'evento di presentazione di Intervento psicologico per la scuola e metodi narrativi, rientra nella rassegna Letture in Ordine, un calendario di
appuntamenti letterari ospitati dall'Ordine Psicologi della Campania e dedicati non solo agli psicologi e agli studenti di Psicologia ma anche a tutti gli appassionati di lettura.
A partire dalle 18.30, dopo i saluti della Presidente dell'Ordine Psicologi Campania Antonella Bozzaotra, introduce la Vicepresidente dell'Ordine Psicologi Campania Lucia Sarno. A seguire, discuteranno con l'autrice, Paolo Gritti, Psichiatra, Psicoterapeuta e Professore di Psichiatria presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, Marisa Iavarone, Professore Associato in Pedagogia generale e Responsabile scientifico dello "Sportello di Sostegno alla Genitorialità competente" presso l'Università Parthenope di Napoli, Enzo Sarnelli, Psicologo e Psicoterapeuta, Socio fondatore dell'Associazione Oltre Onlus di Ischia, e Maria Scala, Psicologa e Psicoterapeuta sistemico-relazionale presso il Centro di Psicologia Clinica Territoriale Essebi di San Giorgio a Cremano.
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http://issuu.com/edizionipsiconline/docs/intervento_psicologico_per_la_scuol?e=2372380/11765411
Ho enormemente apprezzato per la notevole ascendenza e impatto che ha esercitato su di me la pregevole opera “Testimoni del passato” del Prof. Gianfranco Bernes, edita da Edizioni Psiconline. Infatti, leggendola, mi ha particolarmente coinvolta, oltre che documentata ed aggiornata, in merito alla evoluzione dei metodi di cura della sofferenza che affligge il malato, promuovendo notevoli ed interessanti spunti, ampliantesi rileggendola. Pertanto ritengo doveroso condividere con i potenziali lettori e quelli che hanno già letto la “Bellezza” di quest'opera affinchè, come me, possano saggiarne e gustarne le evidenti, ma anche riposte preziosità, intese come summa di insegnamenti in essa contenuti e spunti utili alla riflessione. Anche lo stile, adottato dall'autore, presenta una speciale funzione comunicativa ed in tal senso esercita un notevole richiamo. L'autore espone infatti con chiarezza cristallina e senza supponenza, ma con profondità di pensiero e sano coinvolgimento, le tematiche relative alla “umanizzazione” della cura dei malati rinchiusi nel manicomio. Il tema riguarda noi tutti, dal momento che in ognuno di noi si cela un quantum di follia, che ci apparenta ai “matti” ed al riguardo risuona attuale la nota massima di archetipica saggezza di Plauto “homo sum, humani nihil a me, alienum puto”. La riforma ed il riferimento normativo relativo all'abolizione dei manicomi riguarda tutti. A nulla infatti cale se non comprendiamo che il “matto” va curato e non recluso. Dovremmo tutti comprendere che la cura richiede una educazione interiore volta ad eliminare atteggiamenti discriminatori verso i matti e favorire la cultura della accoglienza e della tolleranza. L'autore, con il suo “mirabile dono di penna”, la sua saggia dottrina, nonché l'esperienza diretta sul campo come psichiatra e come collaboratore del noto Franco Basaglia, prende per mano il lettore, “curandosene”, conducendolo in quel luogo e quel tempo, ove il trattamento medico psicologico della sofferenza raggiunge ragguardevoli traguardi. Viene restituita al malato la dignità, curato nel luogo adatto (non il manicomio in cui rinchiudere il matto) e con l'abolizione dei noti metodi coercitivi, come per esempio l'elettroschok. Il lettore apprende in filigrana, leggendo con viva attenzione, a non nutrire diffidenza, paura e avversione verso il “matto”, ma atteggiamenti comprensivi e di collaborazione con le figure deputate a curarlo. A tal riguardo e a mo' di accorato monito e appello alla coscienza del lettore, l'autore mostra, “alzando” la sua penna, ciò che i suoi occhi hanno visto, ossia scorci e quadri di matti curati nel manicomio che stimolano il lettore, lo rendono partecipe alla vicenda, invitandolo a maturare nel proprio albergo interiore riflessioni attente, serie, profonde, composte sul tema scottante e toccante che tutti noi riguarda in un modo o nell'altro. Con tale opera prosegue quell'aspetto della riforma relativo alla sensibilizzazione delle coscienze. E l'autore, cosciente dell'asprezza e della profondità del tema, vuole allertare sì, ma non allarmare il lettore, con un “farmaco” particolare, che richiama la saggezza lucreziana. Ecco allora la scelta attenta dello stile paratattico e romanzato per accompagnare il lettore in questo itinerario, senza per questo privarlo dei documenti oggettivi che contrassegnano l'epocale e rivoluzionario passaggio relativo alla cura. Il matto non va rinchiuso e punito, ma curato e rispettato nella sua dignità e sacralità. Tutti dovremo allora leggere questa opera, pregna di insegnamenti, documenti, moniti e spunti. Comprendendo quei matti, comprendiamo “inconsciamente” il matto che è in noi, recluso, che “chiede” comprensione e libertà, perché lì si cela la nostra essenza. Ciò perchè la sofferenza, che è palese nel matto e latente in varia misura in noi tutti,al matto apparentati, presenta due registri: patimento ed iniziazione alla personale conoscenza. L'autoconoscenza ed è a tutti noto il motto ed il monito socrateo al riguardo, è la perla più preziosa di cui l'uomo possa disporre. Avviene attraverso la lettura dei codici emotivi racchiusi nella follia per accedere alla personale saggezza. Questo l'insegnamento ultimo o lo spirito che ànima l'opera, riposto in quest'opera, se viene vagliata e letta con intima adesione e opportuno discernimento e ove ci ritroviamo tutti insieme con le nostre unicità.
Dott.ssa Vincenza Sollazzo Psicologa e Psicoterapeuta
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Il volume, curato da Rachele Magro, Responsabile del Servizio Psicologico alle famiglie, è in distribuzione dallo scorso 2 ottobre ed è stato presentato a Torino al Salone del Libro 2014 su preciso invito dello Stato Maggiore della Difesa.
All’appuntamento hanno preso parte, oltre alla curatrice, Rachele Magro, la Dott.ssa Santoro, Responsabile del Marketing e la Dott.ssa Emanuela Serra, pubbliche relazioni dell’Associazione.
Oltre le stelle rappresenta un’iniziativa all'interno del progetto dell’Altra metà della Divisa, associazione no profit, cui sarà devoluto totalmente il ricavato delle vendite, nata per volontà di un gruppo di donne, compagne, e familiari di militari, consapevoli dell’indispensabilità di una rete di supporto, con l’obbiettivo di condividere esperienze e difficoltà, sensibilizzare e sostenere le famiglie militari, indipendentemente dalla Forza Armata di appartenenza e dal grado rivestito.
Oltre le stelle nasce quindi dall’idea di raccontare le storie, le esperienze di queste donne che per scelta o per familiarità, vivono accanto ad un uomo in divisa. Le testimonianze, raccolte e curate dalla dott.ssa Rachele Maria Magro, parlano della forza, del coraggio e della determinazione nell’affrontare scelte difficili che spesso hanno come conseguenza la solitudine e la sofferenza, esperienze uniche vissute attraverso gli occhi delle protagoniste. Le fragilità e le paure, i momenti di tensione e le difficoltà raccontati, vengono inquadrati in una cornice che, analizzando in modo professionale la psicologia e la capacità di reazione agli eventi imprevisti, sono in grado di catapultare il lettore nella quotidianità di ciascuna di queste protagoniste; una quotidianità complessa e spesso complicata dalle regole della vita militare, una quotidianità spesso taciuta, sconosciuta ai più, ma che rivela quanto sia saldo e indissolubile il legame, seppure a volte conflittuale, che c’è tra loro e la divisa.
L’incontro per la presentazione del libro è stato organizzato in collaborazione con l’Associazione NRDC Italy Women’s International Club (NIWIC), nata con lo scopo di riunire ed integrare le donne della comunità multinazionale di NRDC-ITA tra loro e con il territorio, molto attiva ed attenta ad iniziative volte alla valorizzazione delle famiglie militari.
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La presentazione inserita nel calendario degli Incontri in Biblioteca, è realizzata con la partecipazione dell'Associazione Intercomunale delle Valli delle Dolomiti Friulane, della Biblioteca della Montagna Pordenonese, e il Patrocinio della Città di Maniago.
Il Sentiero del viaggio interiore, tratta il tema della sofferenza, intesa, oltre che come penoso fardello, come chiamata iniziatica o malattia creativa dell’anima e le strategie psicoterapeutiche per trasformarla e favorire il naturale percorso psicologico, le attitudini vocazionali, la “Bellezza” dell’esistenza, preclusa dai sintomi, devitalizzanti, coercitivi.
San Paolo ascoltò la chiamata e si avviò. “Saper” ascoltare la chiamata è atto eroico, composto da umiltà e coraggio, i cui effetti creano giovamento sia all’individuo che alla collettività. La psicoterapia, diventa un viaggio, simile a quello dantesco, ove la Conoscenza si intreccia con la Cura.
Arricchito anche da esempi, tratti dalla attività di psicoterapeuta dell'autrice, invita il lettore ad un nuovo modo di rapportarsi alla lettura, coinvolgendo l’“homo totus”, ossia Logos ed Eros, emisfero sinistro e destro ed ogni pagina diventa specchio per specchiarsi, sino a scorgere l’affresco della propria interiorità ed in tal senso diventa da parte dell’autrice un invito al lettore a non fermarsi ai veti del dolore, che, superbo impone blocchi inaccettabili.
Vincenza Sollazzo nasce in Calabria nel 1965, si laurea in Psicologia alla “Sapienza” di Roma nel 1988 e si specializza in Psicoterapia individuale, presso l’ ISP (International School Psicologhy), nel 1994.
Prosegue la sua formazione con Masters di 2° livello su infanzia e adolescenza e partecipa a numeri corsi di aggiornamento studiando Sanscrito, Storia delle religioni, Filosofia della scienza.
Dal 1986 inizia con la guida eccellente del prof. Aldo Carotenuto lo studio e l’approfondimento dell’inconscio tramite la Sincronicità e le discipline inerenti (ipnosi, meditazione, immaginazione attiva, spiritualità, epistemologia), con un approccio speculativo (scrivendo articoli specifi ci e divulgativi) e pragmatico, legato quest’ultimo anche all’attività di psicoterapeuta che svolge a Trento ed in provincia di Venezia, da lungo tempo.
Cosa prova uno psicoterapeuta al termine di una seduta? Quali sono i suoi pensieri prima di addormentarsi? Questa professione modifica la vita di chi sceglie di esercitarla? Cosa fa “riuscire” una terapia?
Il lettore trova in Affetti speciali le risposte personali di un clinico esperto che mette a nudo con sincerità il proprio modo di lavorare e le proprie debolezze.
Il volume narra 10 storie cliniche. Si raccontano in modo romanzato, ironico, ma rispettoso delle procedure scientifiche, due settimane di lavoro di un terapeuta, immaginando che ogni giorno incontri un paziente diverso e descrivendo ciò che avviene in seduta. Brevi considerazioni su quanto accade nella vita dello psicologo, tra una seduta e l’altra, fanno da collante alla narrazione. Pur partendo da effettive esperienze cliniche, i racconti sono espressione di fantasia e sono nascosti i riferimenti alle vicende concrete.
I 10 pazienti presentano alcuni tra i disturbi più frequenti per i quali ci si rivolge ad uno psicologo (problemi di coppia, ipocondria, ossessioni, dipendenze, ansia) e dalle sequenze di sedute il lettore accede alle questioni più importanti sottese ad una psicoterapia. I malintesi, l’irrazionalità di alcune paure, le contraddizioni dello psicologo riescono a strappare più di un sorriso.
Il libro è scritto con un duplice scopo. Da un lato, avvicina il lettore non tecnico al mondo della psicoterapia provando a smitizzare alcune false credenze. Esso appaga l’interesse di chi è attratto da questa particolare esperienza umana, sempre più frequente, ma tuttora oggetto di incomprensione e fantasie inappropriate. D’altro canto, costituisce un complemento letterario per gli specialisti che intendono arricchire le competenze professionali confrontandosi con un testo in cui, in prima persona, si racconta ciò che avviene in seduta e cosa prova un terapeuta.
Le indicazioni illustranti lo stile di conduzione e gli obiettivi degli interventi forniscono la cornice entro cui collocare la clinica presentata.
Il volume termina con un breve saggio, a chiarire ulteriormente gli ingredienti indispensabile per essere un buon terapeuta.
L’autore esprime in modo evidente il suo rispetto assoluto verso chi, narrandogli di se stesso, lo ha aiutato a migliorarsi come persona. È proposta una visione della attività clinica richiedente innanzitutto umiltà, poi sincero interesse verso gli altri ed infine chiarezza sia degli obiettivi che dei limiti del proprio intervento.
Alberto Vito, Psicologo, Psicoterapeuta familiare, Sociologo.
Dirige l’Unità Operativa S.D. di Psicologia Clinica presso l’A.O.R.N. Ospedali dei Colli (NA).
È stato Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli per oltre 10 anni; Componente Commissione Nazionale per la lotta contro l’Aids presso il Ministero della Salute dal 2002 al 2006; Supervisore didatta dell’Equipe Inter-Aziendale di Terapia Familiare ad Ancona presso la Clinica Psichiatrica dell’Università Politecnica delle Marche dal 2001 al 2009.
Ha svolto attività formativa e didattica presso Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Familiare, Corsi di Mediazione Familiare, Master di Psicologia Giuridica ed attività di supervisore clinico in diversi contesti pubblici e privati. Attualmente è didatta della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare.
Autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche, inerenti la terapia familiare, la psicologia giuridica e la psicologia ospedaliera, tra cui i volumi: “La perizia nelle separazioni. Guida all’intervento psicologico” (F.Angeli, Milano, 2009) e “Vicende familiari e giustizia” (Ed. Sallustiana, Roma, 2005). Collabora con riviste nazionali di salute.
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Siamo sicuri che dopo aver letto l'intervista i nostri lettori non sapranno resistere alla tentazione di leggere "Sogno o son desto".
D. Ringraziamo la Dott.ssa Gabriella Giordanella per la sua disponibilità e le chiediamo subito come e quando nasce questo volume?
R. Può sembrare strano quello che sto per dire ma è la verità: questo volume nasce nei tempi della mia infanzia quando, ascoltando rapita e meravigliata, le storie narrate dai miei genitori, mi immaginavo di vivere in quei mondi, così diversi dal mio e, allo stesso tempo, per me così reali, tanto da farmi gioire o piangere insieme ai protagonisti. Negli anni difficili della mia vita non avrei saputo immaginare la strada da percorrere per raggiungere obiettivi che, per cause esterne a me, mi erano stati preclusi: quando a 15 anni dovetti interrompere gli studi, compreso quello del pianoforte, non avrei immaginato di poter conseguire titoli di studio e affermazioni professionali, come accaduto nella realtà. Da tutto quanto vissuto e dalle riflessioni sulle mie esperienze, mi sono resa conto che l’immaginario comprende aspetti imprevedibili ma potenzialmente da sviluppare, per aprirci orizzonti oltre le nostre limitate speranze.
Nel tempo, quelle esperienze sono state alla base dei miei studi sulle funzioni e sulle potenzialità dell’immaginario. Mi è stato sempre più evidente, grazie ai dati di ricerche condotte da eminenti scienziati e alla loro applicazione nel campo della salute e della crescita bio-psico-spirituale dell’individuo, come l’utilizzo mirato e specifico dell’immaginario fosse un potente mezzo nel tortuoso e spesso invisibile cammino per migliorare la qualità di vita di noi esseri umani.
D. Ci spieghi il significato del titolo
R. “Sogno o son desto? Guida per viaggi nella Galassia dell’Immaginario oltre l’Universo percepito” è un titolo con il quale ho voluto spiegare l’intenzione della mia proposta: indirizzare il “viaggiatore” oltre l’orizzonte spazio-tempo dell’Universo di conoscenza di noi stessi; poiché è mia opinione, consolidata in anni di approfondimento e di pratica clinica, che anche nel nostro Universo soggettivo accade qualcosa di simile a quello che avviene nell’Universo cosmico: è visibile soltanto quella parte di noi che ci arriva attraverso la luce trasmessa dai “corpi celesti”, costituiti dai nostri pensieri consapevoli. Ma questo non ci consente di dire se oltre ci siano in noi altri “universi”, o se il nostro conosciuto sia finito o infinito! Così il titolo indica una guida per andare oltre la conoscenza consapevole e scoprire, mediante l’immaginario, le potenzialità di innumerevoli nostre “galassie” ancora sconosciute. È bene ricordare che anche in un luogo con confini ben definiti, come la nostra Terra, possiamo fare “infiniti” viaggi, scoprire ogni volta nuove prospettive e ampliare le nostre capacità di resilienza e creatività per superare difficoltà e sofferenza.
D. A quale pubblico si rivolge
R. Il pubblico al quale si rivolge il mio lavoro è, nel mio immaginario, un pubblico il più possibile vasto ed eterogeneo. Infatti il mio sogno ambizioso è divulgare questo argomento affinché il maggior numero di persone ne possa essere informato e, per quanto possibile, trarne benefici.
D. Ci parli dei metodi immaginativi, del loro scopo e della loro applicazione
R. È plausibile pensare che modalità immaginative abbiano costituito il ponte attraverso cui è avvenuto il passaggio all’homo sapiens sapiens. Le culture più antiche, i miti e le leggende ci offrono esempi di metodi immaginativi a scopi iniziatici, religiosi, per lo sviluppo di potenzialità e di conoscenza, per fare previsioni ed elaborare scenari alternativi in situazioni problematiche: un esempio per tutti può essere l’attribuzione di una forma ed un nome dovuti all’immaginazione di popoli diversi ad agglomerati di stelle, per cui l’orsa dei Greci era un carro per i Romani, una pentola per i Cinesi, un ippopotamo per gli Egizi e un ventilabro, lo strumento usato per mondare il grano, per gli Ebrei.
Nella vita quotidiana noi utilizziamo metodi immaginativi per sentirci più sicuri e abbassare ansia e tensione, oltre che per programmare in anticipo soluzioni e comportamenti in modo da affrontare “preparati” nuove esperienze. Può capitare di frequente immaginare un incontro con una persona alla quale teniamo affettivamente, dialogare con lei, fantasticare le sensazioni che proveremo; nel caso di una precedente discussione immaginiamo quali parole usare per addolcire l’atmosfera e far ritornare l’intesa amorosa.Numerosi sono i metodi immaginativi utilizzati in ambito sportivo, educativo e terapeutico: es. visualizzare i movimenti prima di effettuare un tuffo, pensare alla sequenza delle note in preparazione all’esecuzione di una sonata, immaginare se stessi in una situazione valutata con ansia e, quindi, modificarla pensando a qualcosa di piacevole, fino a poterla vivere con tranquillità.
Di conseguenza gli scopi differiscono secondo il contesto e gli utenti. L’applicazione dei metodi immaginativi spazia da situazioni quotidiane (sociali, relazionali, lavorative, ecc.) a quelle più propriamente riabilitative e terapeutiche, con una consistente applicazione nell’ambito dello sviluppo e della crescita di potenzialità insite in ciascun essere umano (es. esercizi di brain storming per sviluppare nuovi prodotti o utilizzi alternativi di oggetti già in uso, modalità spesso praticata nel gioco dai bambini per cui una scopa è come se fosse un cavallo da mandare al galoppo o un raggio laser per difendersi dagli alieni).
D. Sembra particolarmente interessante la tecnica di Immaginario e Musica.
R. In effetti, anche per me le esperienze con l’Immaginario e la Musica sono state da subito molto interessanti: mi hanno aperto, in modo privilegiato, diretto e sublime, quella porta per entrare nel mio mondo costituito da sensazioni movimenti ed emozioni, serbatoio di memorie costituenti la mia identità più nascosta. A dare maggiore consistenza al metodo ci sono una miriade di dati forniti dalle neuroscienze: l’anno scorso durante un convegno a Riva del Garda sull’emergere del Sé, il prof. Antonio Damasio mi ha detto che, nelle loro ricerche sul cervello, la musica è considerata l’Arte per eccellenza: anch’essa è organizzata con ritmi come il nostro corpo e la nostra mente, il nostro Sé, quindi evoca risposte emotive, motorie e cognitive su larga scala e permette esperienze utili a modificare e rendere più funzionali i nostri circuiti cerebrali. Pertanto l’utilizzo dell’Immaginario, associato a rilassamento e musica, risulta particolarmente efficace per sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie risorse e di soluzioni innovative per affrontare situazioni problematiche. Nel libro ho dedicato ampio spazio per illustrare il metodo di Immaginario Evocato con la Musica, proprio in considerazione della rilevanza che può rivestire nella nostra vita. Mi auguro che gli Scenari proposti offrano esperienze significative per molti lettori.
D. Quali sono le finalità? Quali cambiamenti può apportare?
R. Le finalità fanno parte della perenne ricerca degli esseri umani di conoscere meglio se stessi in modo da rendere il mondo più vivibile, le relazioni più autentiche e significative, la società più rispettosa della dignità di ciascuna persona. Se ognuno operasse un cambiamento nel suo modo di pensare, agire e provare emozioni, potremmo realisticamente sperare che ciò avrebbe conseguenze nel contesto sociale di appartenenza, con la modifica di stereotipi e pregiudizi che innalzano barriere verso l’altro, il diverso. Prima di tutto bisogna che cambiamo l’atteggiamento, le aspettative rigide e poco realistiche verso noi stessi, fino ad accettarci come esseri umani fallibili e, nel contempo, ricchi di potenzialità da sviluppare.
D. Oltre ai metodi immaginativi utilizzati a scopi terapeutici, è possibile un impiego anche autonomo di tali tecniche?
R. Posso rispondere affermativamente in quanto la maggior parte delle tecniche proposte è basata su capacità naturali che ciascuno pratica nella vita quotidiana, magari le tecniche presentate sono maggiormente strutturate e integrate con elementi di conoscenza scientifica su funzioni e processi dell’essere umano, come ad esempio la capacità riflessiva sui propri pensieri, comportamenti ed emozioni.
D. Qual è la risposta all'utilizzo di tali tecniche in casi di patologie e nei casi "normali"?
R. Ho tenuto a specificare che, in casi di sofferenza patologica, l’utilizzo delle tecniche proposte nel libro va praticato da professionisti specializzati: le risposte ottenute sono generalmente soddisfacenti ad esempio nei disturbi dell’umore, nelle nevrosi, nei disturbi di ansia e nei disturbi da stress post traumatico. In genere è consigliabile affiancare l’utilizzo dei metodi immaginativi, nella pratica terapeutica, a metodi e tecniche verbali. Nei casi cosiddetti normali, si ottengono apprezzabili benefici per la scoperta di risorse e con lo sviluppo di atteggiamenti resilienti che consentono di imparare da esperienze dolorose per modificare il proprio stile di vita e renderlo più funzionale e coerente.
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Numerosa l'affluenza all'evento, vario il target dei presenti in platea, dall'educatore, allo psicologo, ai docenti a semplici interessati all'argomento in questione, ovvero l'autismo ed in particolare l'approccio A.T.D.R.A. messo a punto dal Dott. Rinaldi.
Grazie alla attenta introduzione di Giorgio Gizi, coproprietario della libreria e alle mirate domande si è creato un' importante occasione di riflessione condivisa.
Dal libro alla filosofia dell'approccio A.T.D.R.A. al metodo e agli strumenti di intervento, Rinaldi è arrivato a descrivere oltre alla terapia in acqua (piscina), la Surf-Therapy ("Surfing Voice"), per la quale risulta essere pioniere in Italia e per certi versi a livello internazionale.
Sul finale è stata narrata l'esportazione di questa innovativa tecnica di intervento alle Isole Canarie (Tenerife), prima tappa di diffusione all'estero di Surfing Voice.
Presto partirà sul territorio romano un corso di formazione sul metodo A.T.D.R.A. al fine di rafforzare la rete di lavoro che vede già presenti nella città di Roma, alcuni operatori formati nell'approccio.
Di seguito l'intervista che Antonio Rinaldi ci ha gentilmente concesso.
Innanzitutto, una spiegazione sul titolo: cosa voleva intendere con l’espressione “Leggere il silenzio”?
Di primo istinto pensai ad un titolo come "ascoltare il silenzio", ma immediatamente pensai che non sarebbe stato veritiero o comunque completo. Il silenzio non va solo ascoltato ma anche compreso, così come si fa con una versione di latino, si legge pensando immediatamente al significato che nel globale riusciamo a carpire indipendentemente dai singoli significati delle parole.
Il silenzio è spesso pieno di significati sebbene lo si veda vuoto per la difficoltà di riconoscere i significanti.
Perché ha scelto di parlare dell’autismo? Si sente coinvolto, a livello professionale, da questo argomento?
Sono stato da sempre incuriosito dall'atipicità dell'essere autistico e durante i miei studi accademici oltre ai libri di testo di psicopatologia dello sviluppo iniziai a documentarmi con altri volumi sull'argomento sino ad elaborare una mia ipotesi di intervento legata all'utilizzo dell'elemento acqua.
Iniziando questo tipo di intervento nelle piscine della mia città iniziai a ricevere nel mio "studio liquido" sempre più bambini con tale patologia, sino ad arrivare ad occuparmi principalmente di tale ambito.
Come riesce a descrivere così accuratamente le caratteristiche dell’autismo, tanto da parlare di una iper-logicità e di una iper-sensibilità?
Come dicevo sopra, vivo da anni in diretto contatto con soggetti con tale particolarità e grazie ai tanti casi da me trattati e confrontando i miei risultati con studi sull'argomento ed esperienze altrui, posso con certezza parlare di iper-logica e iper-sensibilità come punti di forza di tali soggetti. Chiunque li viva al di là di una scrivania, non può che riconoscere questi loro aspetti.
Quanto può essere difficile relazionarsi con un bambino autistico?
In realtà può esser impossibile come semplicissimo a seconda di come ci poniamo per primi nel cercare la relazione con loro. Pretendere il loro plasmarsi ad un nostro modo di percepire, di comprendere la realtà, non è assolutamente la giusta via per creare un ponte relazionale e comunicativo con loro. Una capacità empatica e plastica è il presupposto di base per operare con soggetti autistici.
Secondo la sua esperienza, i genitori come reagiscono e come agiscono con un figlio con diagnosi di autismo?
In tale ambito di intervento ritengo sia fondamentale strutturare in parallelo al lavoro con il bambino, un altrettanto importante lavoro di ascolto e sostegno genitoriale.
Il metodo "a.t.d.r.a." da me ideato e strutturato in questi anni fonda il suo operare su questo doppio binario di intervento. dalla consegna della diagnosi risulta fondamentale dapprima accogliere, ascoltare ed accompagnare il genitore attraverso un percorso delicato quanto di enorme crescita personale, dai duri passaggi di sofferenza e rabbia ma anche di amore e riscoperta del proprio figlio.
In base a quanto da lei osservato, chi ha più difficoltà a capire e relazionarsi con un bambino autistico? Al contrario, chi arriva prima al suo mondo e può trovare più facilmente un canale comunicativo?
A mio parere troverà più difficoltà a capire e a relazionarsi con un bambino autistico chi per primo dimostrerà rigidità di pensiero e poca disponibilità ad andare oltre l'etichetta diagnostica che lo caratterizza.
Al contrario chi avrà voglia di scoprire, di ascoltare, di non ergersi in cattedra di fronte ad esso potrà godere di quel privilegio speciale del ricevere e del poter donare.
Come è arrivato ad adottare il trattamento integrato in acqua? Può spiegarci brevemente in cosa consiste e come può essere applicato?
Per mia personale esperienza il contatto con l'elemento acqua è stato costante della mia crescita.
Il trattamento in acqua secondo il metodo a.t.d.r.a.® (approccio terapeutico dinamico relazionale in acqua), da me creato e strutturato negli anni, è stato il punto di partenza del mio lavoro con soggetti affetti da disturbo dello sviluppo e tutt'oggi è il principale contesto nel quale conduciamo interventi. tale terapia sfrutta le peculiarità percettive, contenitive dell'elemento acqua, per operare in maniera integrata sulle chiusure relazionali e comunicative e sulle conseguenti difficoltà comportamentali dei bambini.
Questo tipo di intervento utilizza la relazione come principale strumento di cura e come la surf-therapy pone la motivazione e l'attivazione emotiva come motori del sistema dinamico che si innesca tra chi opera ed il bambino.
Ci sono indicazioni particolari per questo tipo di trattamento? Possono esserci delle controindicazioni, invece, per cui non sempre può essere messo in opera?
Elemento fondamentale del lavoro in acqua risulta esser il coinvolgimento genitoriale nel tipico ruolo di "feedback".
La piscina, così come ogni altro contesto nel quale si applica a.t.d.r.a. secondo il metodo stesso infatti risulta esser la placenta di un nuovo rapporto genitore-figlio, dove entrambi guidati dall'operatore che lavora con il piccolo, possano riscoprire se stessi e l'altro all'interno di quella diade che per natura appare di difficile consolidamento.
Indicazione particolare per questo tipo di intervento dunque riguarda l'alleanza con il genitore rispetto agli assiomi dell'operare.
Non esistono controindicazioni né soggetti per i quali tale terapia non sia indicata, in quanto ciò che caratterizza l'intervento è una personalizzazione del programma nelle modalità e nei fini di ogni sessione.
Quanto la sua esperienza ha influito nella stesura di questo libro? E quanto essa si è discostata ed ha arricchito i sempre più numerosi studi sullo spettro autistico?
Direi che la mia esperienza professionale ha influito totalmente sulla stesura del volume "leggere il silenzio". Sfogliarlo ancora oggi mi rimanda immediatamente a quella sensazione di speciale spettatore di grandi passi compiuti da questi bambini spesso poco riconosciuti nel loro meraviglioso potenziale umano e cognitivo.
A dir la verità leggo moltissimo sull'autismo e ogni tanto qua e là trovo analogie con il mio modo di vedere il disturbo e correlatamente gli interventi destinati ad esso, ma per la maggior parte dei casi, eccetto per i romanzi, la letteratura scientifica rimane per lo più ricalcante il quadro diagnostico che purtroppo schematizza il soggetto evidenziando i suoi limiti e le difficoltà ad essi correlate.
Nella stesura di questo volume come nei corsi di formazione sul metodo a.t.d.r.a. in particolar modo tengo a ribadire che un buon lavoro terapeutico deve vertere sui punti di forza del soggetto non sui suoi deficit affinché si possa innescare quel meraviglioso processo di apertura e rafforzamento di competenze ed abilità.
A chi si sente di rivolgere le indicazioni contenute nel suo libro?
Vorrebbe aggiungere qualche commento o considerazione finale?
Ringrazio voi per questa possibilità di raccontare ciò che vivo.
"Leggere il silenzio" inizialmente era molto più ampio, poi lo ridussi a neanche un centinaio di pagine, nonostante sia nel suo aspetto molto fine ha per me un enorme valore, per cui ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto le loro impressioni e anche chi non mi ha rimandato alcun feedback ma mi ha permesso di riposare su un comodino, di andare in vacanza in una valigia, di stare in compagnia di altri volumi in una grande libreria.
Dentro queste pagine c'è tanto di me, della mia vita, del mio cuore.
Grazie.
Il libro ha l'intento di suggerire vie e modalità per la risoluzione dei conflitti.
L'autrice propone metodi operativi concreti, basati sulla conoscenza di sé per arrivare alla conoscenza e all'accettazione della diversità dell'altro.
Il metodo utilizzato nel presente lavoro è la narrativa autobiografica e nel corso del testo viene argomentata una riflessione sull’utilizzo di tali metodi in ambito scolastico. Nell’articolazione del testo si propone, infatti, la valorizzazione dell’esperienza personale degli allievi a partire dalle loro narrazioni e, attraverso l’istituzione di un setting di gruppo, ci si propone di portarli ad acquisire chiavi di lettura del contesto, finalizzate all’attribuzione di senso.
Attraverso il metodo narrativo-autobiografico gli studenti vengono invitati a raccontarsi allo scopo di avviare una riflessione volta a ricostruire e, dunque, riconoscere come apprendono, attribuendo senso a tale processo.
Paolo Gritti (Professore di Psichiatria Seconda Università degli Studi di Napoli) nella sua prefazione al libro afferma : "è singolare quanto spesso i ricordi di scuola siano oggetto della conversazione terapeutica. La propria esperienza di studente, dall’infanzia alla giovane età adulta, rimane impressa nella memoria di ciascuno di noi in maniera vivida. Molti avvenimenti, anche importanti della nostra vita, sono destinati all’oblio ma gli anni di scuola non vanno mai perduti, dunque c’è qualcosa di quella esperienza che sostiene il ricordo e che alimenta aspetti della nostra identità. (...) Molti anni dopo, ricordiamo i nostri anni di scuola non per le nozioni che allora avevamo appreso, spesso del tutto dimenticate, ma per dei legami di allora con gli insegnanti ed i compagni di classe. Dunque raccontare genera legame duraturo fra narratore ed ascoltatori".
Il testo consta di tre parti che simboleggiano la teoria, la prassi e la riflessione sulla prassi che orienta l’azione clinica.
Nella Parte Prima: Paradigmi teorici vengono presentati i modelli portanti dell’Intervento psicologico per la scuola nella società complessa (cap. 1) e del Metodo autobiografico (cap. 2), utilizzato nel corso dell’intervento.
La Parte Seconda: Intervento psicologico per la scuola:
l’autobiografi a come metodo formativo e il resoconto come strumento di orientamento dell’intervento rappresenta il medium di congiunzione, in ottica costruttivistica, tra la teoria e la pratica dell’intervento, con una riflessione sui perché di una scelta metodologica e professionale (capitolo 3).
Nella Parte Terza: Intervento in una scuola secondaria inferiore viene articolata invece la fase progettuale della Costruzione dell’intervento (cap. 4) e della Riflessione sull’Intervento (cap. 5), avvenuta contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento stesso, in cui vengono sottolineati gli aspetti di circolarità che hanno reso possibile la costruzione dell’intervento stesso.
Nelle Conclusioni, infine, viene presentato un bilancio sintetico dell’intera esperienza.
Rinaldi, pioniere della Surfing Therapy nel nostro paese, è il fondatore del progetto "SURFING VOICE", diretto ai bambini autistici e alle loro famiglie. Questa forma di intervento terapeutico si è poi estesa fino a curare o lenire forme di disagio, le più diverse (stati d’ansia, insicurezza cronica, disabilità post traumatiche, etc. ).
L’autismo negli ultimi anni sembra diffondersi in maniera iperbolica e con esso la correlata ricerca eziologica e di intervento.
Un’opportunità di riflessione, dalla analisi della stessa definizione di disturbo “pervasivo dello sviluppo”, passando per il concetto di diagnosi e di intervento, su un modo di essere, di “funzionare”, tipico dello spettro certificato, atipico rispetto alla norma, tanto affrontato nella letteratura scientifica, quanto dal pensiero comune dei libri e delle pellicole, ma forse non così diverso da una componente di ognuno di noi.
Riconoscere per curare, è il motto per poter intervenire con un bambino affetto da autismo, riuscire empaticamente a comprendere e scorgere un potenziale per lo più celato, per alimentarlo e coltivarlo, proponendo attività motivanti e diffondendo consapevolezza tra chi vive o lavora con il piccolo, primi tra tutti i genitori incatenati ed imprigionati dalla visione diagnostica del proprio figlio e per questo poco speranzosi e fiduciosi di ogni suo poter divenire.
Un libro sul sentire umano ma dagli spunti pratici su come poter insegnare nell’autismo, per come approcciarsi a lui, indipendentemente dall’attività o dal contesto contingente, solo riflettendo sul suo peculiare modo di leggere il mondo, gli altri, se stesso, nel silenzio.
Antonio Rinaldi nato a Livorno il 4/07/1978 è Psicologo esperto in autismo.
Ha messo a punto un trattamento terapeutico-educativo-riabilitativo ad approccio integrato, basato su un modello a valenza relazionale, in acqua (piscina e in mare sfruttando l’attività del surfing) caratterizzato dal fondamentale coinvolgimento genitoriale.