"Per stare bene sul lavoro e nella vita c’è bisogno di una madre e di un padre. Di una madre che accoglie e di un padre che dà al figlio il permesso di andare.
C’è quindi bisogno che quel bambino che diventa adulto porti con sé l’affettività e il senso di protezione ricevuto dalla madre, ma intesi come forza e sicurezza per andare nel mondo e non, come spesso accade, come un ostacolo al diventare individuo adulto e separato, con una sua individualità e un suo sentire, con i suoi desideri e la sua evoluzione da realizzare.
Quando la madre tiene il figlio a sé, è il padre a concedere su un piano psicologico il permesso di andare nel mondo e di crescere sperimentando.
E se l’azienda è madre onnipresente, con tutti i meccanismi patologici che si instaurano nella dipendenza, allora per tutti quelli che lavorano in azienda o che vivono relazioni di dipendenza ci sarà bisogno di un padre: il padre necessario che dà al figlio il permesso di sentire i suoi desideri, la sua creatività oltre il processo, che caratterizzante sempre più il mondo delle aziende e che costituisce l’essenza prima di una disumanizzazione che è di ostacolo allo slancio vitale che scorre in ognuno di noi".
Da queste domande si comprende come questo sia un testo rivolto a chi almeno una volta ha dubitato o addirittura sofferto della propria scelta lavorativa, in cui un dubbio si è insinuato, ma più volte è stato scacciato perché non c’erano e perché non ci sono altre alternative.
A chi è in una continua attesa del fine settimana per iniziare a vivere, a chi almeno una volta si è fermato a pensare davvero che vorrebbe una vita diversa, non solo lamentandosi, ma volendo davvero fare qualcosa per cambiare il suo stato, quantomeno quello emotivo e di consapevolezza.
Quella di essere padroni della nostra vita o di permettere ad altre figure di esserlo, vivendo la propria vita compiacendo ad una madre, ad una compagna, ad un’azienda o in generale ad un’immagine di noi che ci portiamo dentro e che arriva però da fuori, da un desiderio che ci è stato etichettato dall’esterno e che non appartiene alla nostra verità più intima. Oppure, si potrà scegliere di vivere ciò che forse agli altri non piace, ciò in cui gli altri forse ci scoraggiano e in cui non credono, ma con la possibilità di poter dire alla fine o nel mezzo della nostra vita, che abbiamo realizzato o che stiamo realizzando il nostro compito evolutivo.
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