D. Ringraziamo gli autori per aver collaborato alla nostra intervista con risposte semplici e chiare che aiuteranno sicuramente a comprendere i contenuti del volume.
Perché scrivere un testo che tratta il tema del delirio e del delirare?
R. È una domanda legittima anche perché ci sono vari testi sia di psicologia clinica sia di psichiatria che affrontano questo argomento. Il libro non nasce con uno scopo accademico, origina dall'attività quotidiana con i pazienti. Sono stati i dialoghi deliranti con i pazienti a far emergere delle domande riguardanti il come si forma il ragionamento del delirante.
Il delirio e il delirare sono dei modi cognitivo-esistenziale di essere, è importante conoscere come si struttura il pensiero e il ragionamento del delirio nel delirante, non per 'ingabbiarlo' con interpretazioni o con neurolettici, ma per trovare quella modalità linguistica funzionale alla comunicazione e alla relazione.
D. A chi è rivolto?
R. È rivolto a tutti coloro che operano nel settore del disagio psichico: psichiatri, psicologi, educatori, ma anche filosofi, logici, linguisti..., è rivolto per certi versi a tutti quelli che sono interessati a come si sviluppa il pensiero.
D. Cosa ha dato vita a questo testo?
R.È un testo nato dalle riflessioni scaturite nella pratica clinica a contatto quotidiano per anni con il delirio. È un testo che cerca di rispondere a delle domande-risposte non trovate nei testi sul delirio oppure dal confronto con i colleghi o con la supervisione. È un libro che origina dentro un contesto di malattia o disagio mentale. Il testo è nato da una ricerca su come si forma il pensiero delirante da un punto di vista psico-logico e come si formano gli errori cognitivi concettuali che condizionano il percepito dissonante del delirante.
D. Come è strutturato?
R. Il primo capitolo è un excursus suddiviso in tre parti: la prima riguarda la storia del delirio, la nosografia e l'approfondimento di alcuni autori come lo psicanalista Matte Blanco con la bi-logica e Remo Bodei con la logica del delirio; la seconda parte approfondisce il rapporto tra psicologia e logica, analizzando che cosa sia il ragionamento e l'epistemologia di J. Piaget; la terza parte affronta le tipologie del pensiero magico, egocentrico, iperinclusivo, ipoinclusivo, simmetrico, asimmetrico.
Il secondo capitolo analizza quattro casi clinici con una metodologia che scompone le proposizioni del delirio classificandole analiticamente usando la logica elementare.
D. Cos'è il delirio?
R. La risposta necessiterebbe un nuovo libro. Nel testo si sostiene e si argomenta che il delirio è il prodotto di un ragionamento composto da una serie di pensieri e nessi logici errati. È il prodotto psico-logico di errori formali e quindi sostanziali. Es: “esco di casa se Anna piange”; “Anna è contenta quindi sto in casa “.
D. Chi è il delirante?
R. La risposta potrebbe essere banale. È delirante colui che dice cose sconnesse, irreali, senza spazio-tempo che ha delle allucinazioni semplici o complesse. Questa è la sintesi un po' semplificata di chi è il delirante. Ma non è vero. Il ragionamento della persona 'normale' è composto da tipologie di pensiero che contengono temi non razionali. Il ragionamento di ogni persona che si ritiene normale è composto anche da errori psico-logici deliranti.
D. Perché si delira?
R. Si può delirare a causa di una lesione traumatica nel lobo frontale oppure da una serie di alterazioni dei neurotrasmettitori. È sempre un fatto bio-psichico. Si può delirare però anche senza alterazioni organiche. Il delirio è la più consistente e robusta organizzazione difensiva contro ogni forma di apertura al mondo, all'io pensante, ad ogni tu che si vuole relazionare.
Si potrebbe dire come forma di difesa per evitare di stare in questo mondo, oppure per questioni neurologiche o psicopatologiche, ma si delira anche perché c'è un piacere a raccontarsi delle storie, per scoprire dei sintagmi linguistici e perché si continua a commettere degli errori psico-logici che non hanno nulla a che fare con la psicosi o il danno neurologico.
D. Cosa accade nel delirio?
R. Nel delirio accade che le parole, le lettere, i pensieri, le sensazioni, le percezioni prendono una loro forma particolare e costruiscono una narrazione di come è la sua realtà. Il delirante vede e racconta ciò che vive, percepisce, quella è la sua realtà. I neurolettici di questa generazione svolgono solo una funzione di assopire le angosce, le azioni ma non cancellano il delirio. Lo sedano soltanto. Con il delirio è importante stabilire una comunicazione, è importante riconoscere il codice per entrarci e colloquiare.
D. Nel testo vi è una misurazione del delirio?
R. Si sono usati dei metodi di classificazione delle proposizioni, quantificandole attraverso una griglia di rilevazione che ha permesso di quantificare le proposizioni. Il materiale è stato recuperato da una serie di scritti dei pazienti. Un paziente aveva più di diecimila fogli scritti e consegnati, altri meno. Gli istogrammi e i diagrammi presenti nel testo permettono di cogliere due aspetti fondamentali: il primo riguarda la quantificazione delle proposizioni che compongono i contenuti tematici;il secondo permette di raffigurare come si compone il ragionamento.
D. È possibile una comunicazione con il delirante?
R. Il testo nasce proprio da incontri con 'deliranti' oltre che dal materiale scritto. Fare gruppi con persone che delirano, solo con deliranti, è interessante per cogliere come loro riescono a mettersi in comunicazione pur avendo deliri con contenuti diversi – mistici, rovina, persecutori, onnipotenti – è una palestra per il cervello, ma è anche un modo per favorire l'integrazione del paziente. Non si può avere la pretesa di agganciare subito il delirante, ci vuole una fase lenta di avvicinamento e tanta pazienza.
D. Come possono classificarsi i deliri?
R. La classificazione è presente nel testo e ricalca la nosografia classica. Ma la questione è: sono fondamentali le classificazioni: sì, ma non servono a niente se non si sviluppano procedure comunicative appropriate per favorire l'integrazione. Dal delirio si può uscire o si impara a convivere, distinguendo ciò che è da ciò che non è.
D. A pag. 59 si legge: “Nessuna esperienza umana è immune dal rischio di precipitare nella psicosi” come interpretare o integrare questa affermazione?
R. È vero nessuno è immune dalla psicosi. Ci possono essere in qualsiasi fase della vita fattori organici traumatici oppure fattori stressogeni psicologici patologici o eventi ambientali come un terremoto, un naufragio, un'alluvione che possono portare a un disturbo psicotico.
D. Potete illustrarci, anche brevemente le tipologie del pensiero?
R. È il bello del libro. Sono stati individuati delle tipologie del pensiero specifiche, si prenda quella magica. Il pensiero magico è un pensiero quotidiano che consiste nel fare le corna per scacciare una malattia, nel pensare che facendo una determinata azione prescritta dalla medium tenga lontani da una disgrazia, oppure pensare che gli dei dell'Olimpo possano liberarci dalle pestilenze. Il pensiero magico è composto da un concetto di legame partecipativo tra due elementi: “medium e malattia”.
Il pensiero asimmetrico è caratterizzato dal fatto che il suo inverso non è identico alla relazione originaria. Es: “Lucia è la madre di Marianna” , è una relazione asimmetrica, poiché il suo inverso è “Marianna è la figlia di Lucia” è differente dalla relazione iniziale.
Il pensiero iperinclusivo si basa sul connettivo logico della congiunzione e. Es: “P Ʌ A Ʌ B Ʌ C Ʌ ...Giovanni è bello, brutto, veloce,laureato, uomo, basso, lento...”
D. Come può manifestarsi il delirio?
R. Il delirio si riconosce attraverso la disconnessione del ragionamento parlato, dal comportamento maniacale e dalle allucinazioni. Ma il delirio prima di manifestarsi, di esprimersi è soggetto ad un processo interno, muto e silente che può durare anni.
D. Studiare e trattare il delirio e il delirante cosa comporta per chi assiste il malato?
R. Stare con chi delira è un modo per comprendere come il ragionamento altera la dimensione percettiva della realtà, ma nello stesso tempo offre la possibilità di imparare a ridimensionare il proprio mondo egoico. Ma la cosa più importante è capire che anche il delirio ha diritto di cittadinanza e va accolto. Aveva ragione Platone quando diceva: “essere il delirio tutt'altro che un male: essere uno dei più grandi doni dei numi; nel delirio le profetesse di Delfi e di Dodone resero ai cittadini di Grecia mille servigi...” Il delirio è una narrazione distorta della realtà nella quale si vive.
D. Il trattamento di tali disturbi è cambiato nel corso degli anni?
R. Si dà poco ascolto al delirio, gli operatori e la società in genere lo temono, ne hanno paura. La soluzione allora sta nell'assopirlo, nel contenerlo in particolare con farmaci che assopiscono ma rendono il soggetto assente da Sé e dagli Altri. Le pratiche vanno ridiscusse completamente.
D. Quale evoluzione possiamo aspettarci che si verifichi in futuro?
R. La prima cosa sarebbe quella di dare diritto di cittadinanza al delirio che vuol dire riconosce la libertà dell'individuo. Secondo bisogna che la psicologia si occupi più approfonditamente dei processi biopsichici e usi strumenti tecnologici più avanzati. Deve fare un passo in avanti. Terzo le neuroscienze potranno offrire delle opportunità per indagare meglio il processo del disturbo.
Quarto dal delirio se ne può uscire con un buon lavoro psicoterapeutico.
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