Chiuso il capitolo Fiera di Roma (e in modo decisamente brillante) passiamo adesso alla novità del 16 dicembre prossimo: "ANORESSIA RABBIOSA. La ribellione muta e i sentimenti repressi" di Luciano Peirone e Elena Gerardi.
dalla quarta di copertina
La distorta immagine di sé; l’ossessivo autocontrollo sul corpo, sul suo peso, sul cibo da (non) inghiottire ed eventualmente vomitare; i vissuti ansioso-depressivi, i conflitti interpersonali, i disturbi sessuali e della vita affettiva in generale, il cattivo uso dell’intelligenza, la patologica strumentalizzazione della precisione e di certi ideali di irrealistico perfezionismo.
Ecco, in sintesi, l’essenziale quadro di riferimento della anoressia, un autentico paradosso per la “abbondante” civiltà occidentale.
Ma c’è dell’altro: il lato più oscuro del rifiuto del cibo. Sottile, quasi invisibile, accanto e dietro al sintomo fisico si muove una ridda di pensieri e soprattutto di fantasmi inconsci, imbevuti di immaturità e insicurezza,dipendenza e invidia, menzogna e manipolazione, ribellione e cattiveria.
“TOGLIETE IL MIO POSTO A TAVOLA!” è il comando (al tempo stesso supplichevole e patetico, gelido e ricattatorio) che ben esemplifica il desiderio di controllo sul cibo e sull’ambiente familiare-relazionale, nonché i sentimenti negativi, a lungo covati e tenuti celati, che talvolta esplodono in una “cascata di rabbia”, finalmente visibile, la quale mette a nudo il “cuore” (se così, paradossalmente, si può dire...) del dimagrimento assurto a “religione personale”.
Emerge in tal modo un particolare quadro della personalità del soggetto anoressico, il quale è perennemente in lotta: prigioniero di una muta e inconcludente rivolta nei confronti del mondo, oppresso da una aggressività repressa ed inespressa, incapace di aprire il corpo e l’anima ai giusti e salutari sentimenti, portatore di un corpo che tende al “virtuale” e ad una progressiva esagerata “mentalizzazione”.
Fredda, dura, paranoide: questa è la sintesi della anoressia rabbiosa.
Per l’anoressico che cerca di guarire, ci vuole un cuore che torni ad amare. In fondo, la malattia conclamata e anche il più sfumato disagio consistono in una “cattiva, o mal posta, fame d’amore”. Per contrastare la fredda ossessività di una rabbia trattenuta, occorre riscaldare e sciogliere il “sofferente cuore di ghiaccio che non ha più fame”.
dalla quarta di copertina
La distorta immagine di sé; l’ossessivo autocontrollo sul corpo, sul suo peso, sul cibo da (non) inghiottire ed eventualmente vomitare; i vissuti ansioso-depressivi, i conflitti interpersonali, i disturbi sessuali e della vita affettiva in generale, il cattivo uso dell’intelligenza, la patologica strumentalizzazione della precisione e di certi ideali di irrealistico perfezionismo.
Ecco, in sintesi, l’essenziale quadro di riferimento della anoressia, un autentico paradosso per la “abbondante” civiltà occidentale.
Ma c’è dell’altro: il lato più oscuro del rifiuto del cibo. Sottile, quasi invisibile, accanto e dietro al sintomo fisico si muove una ridda di pensieri e soprattutto di fantasmi inconsci, imbevuti di immaturità e insicurezza,dipendenza e invidia, menzogna e manipolazione, ribellione e cattiveria.
“TOGLIETE IL MIO POSTO A TAVOLA!” è il comando (al tempo stesso supplichevole e patetico, gelido e ricattatorio) che ben esemplifica il desiderio di controllo sul cibo e sull’ambiente familiare-relazionale, nonché i sentimenti negativi, a lungo covati e tenuti celati, che talvolta esplodono in una “cascata di rabbia”, finalmente visibile, la quale mette a nudo il “cuore” (se così, paradossalmente, si può dire...) del dimagrimento assurto a “religione personale”.
Emerge in tal modo un particolare quadro della personalità del soggetto anoressico, il quale è perennemente in lotta: prigioniero di una muta e inconcludente rivolta nei confronti del mondo, oppresso da una aggressività repressa ed inespressa, incapace di aprire il corpo e l’anima ai giusti e salutari sentimenti, portatore di un corpo che tende al “virtuale” e ad una progressiva esagerata “mentalizzazione”.
Fredda, dura, paranoide: questa è la sintesi della anoressia rabbiosa.
Per l’anoressico che cerca di guarire, ci vuole un cuore che torni ad amare. In fondo, la malattia conclamata e anche il più sfumato disagio consistono in una “cattiva, o mal posta, fame d’amore”. Per contrastare la fredda ossessività di una rabbia trattenuta, occorre riscaldare e sciogliere il “sofferente cuore di ghiaccio che non ha più fame”.
Non il solito libro sull’anoressia.
Un originale testo che mette a punto la sofferenza non riconosciuta, i cattivi sentimenti e le difficoltà della terapia.
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