accogliereAccogliere il migrante. Tecniche di psicologia transculturale in situazioni di emergenza, è l’ultimo lavoro di Rosamaria Vitale e Rosalba Terranova Cecchini nella collana Ricerche e Contributi in Psicologia dal 15 gennaio in tutte le librerie e on-line.
Abbiamo intervistato telefonicamente Rosamaria Vitale, molto disponibile nonostante i suoi innumerevoli impegni, per parlare più approfonditamente di "Accogliere il migrante".


Il libro si rivolge a tutti gli operatori di diversa professionalità che in ambito sia sociale che sanitario svolgono attività di accoglienza, presa in carico e cura di stranieri, siano essi migranti per motivi economici, richiedenti asilo, minori non accompagnati, rifugiati. Riassume il lavoro svolto da maggio 2011 a febbraio 2013, periodo di tempo in cui Rosamaria Vitale ha collaborato a quella che è stata definita dal Ministero dell’Interno “Emergenza Nord d’Africa”.

IMG_2074Nel libro sono presentate tecniche e strumenti che permettono all’operatore di entrare in contatto con la persona straniera in modo veloce ma empatico, di fare una valutazione immediata sia dei problemi psicologici che sociali, di intravederne gli sviluppi possibili in ambedue i campi e di instaurare quindi una corretta presa in carico, nel caso si evidenziasse la necessità di un intervento terapeutico, ed un adeguato accompagnamento nell’inserimento sociale e lavorativo per tutti.

Per conoscere meglio l'argomento del libro, ne parliamo con l'autrice.


D. La ringraziamo per la sua disponibilità, iniziamo subito con la prima domanda. Accogliere il migrante si potrebbe definire un testo sulla clinica dell'immigrazione?
R. Sì, crediamo sia uno dei pochi testi che si occupa dei migranti con un'ottica psicologica e psicoterapeutica. Si tratta infatti del racconto di una accoglienza portata avanti nel corso di due anni, nei quali abbiamo potuto effettuare uno screening psicologico e seguire nel tempo 144 profughi. Le nostre tecniche di psicoterapia transculturale ci hanno permesso di evidenziare fin da subito gli eventuali disturbi psichici dei richiedenti asilo e di provvedere tempestivamente ad una terapia.In realtà dal centro di accoglienza ne sono passati più di 400, e per tutti ci sono stati colloqui e test, ma molti di essi sono rimasti per un tempo molto breve e nel libro non si parla di loro.

D. Che cosa ha comportato lavorare a contatto con culture differenti?
R. Avendo sempre lavorato con culture differenti, sia in Italia che all'estero, in particolare nel continente africano, non abbiamo avuto particolari problemi nell'approccio con nessuna delle persone accolte, anche se è stato a volte faticoso, poiché i tempi dettati dall'Emergenza Nord Africa erano molto stretti. Siamo, in un certo senso, "formate" alle dinamiche culturali, convinte che la cultura moduli lo psichismo, dunque il modo di essere.

D. Come è stato l'approccio con i casi senza disturbi psichici, e con quelli psico-patologici?
R. L'approccio è stato uguale per tutti: una riunione di gruppo (per ogni gruppo che arrivava) e poi colloqui individuali e test. Sia il primo colloquio che i test sono serviti per individuare eventuali disturbi psichici che ovviamente sono stati trattati nel lungo periodo. Alle persone senza disturbi psichici veniva dato un supporto, individuale o di gruppo, per iniziare al più presto un percorso di integrazione. Per quelle che invece evidenziavano problemi particolari, veniva attuata prima di tutto une terapia psicologica e/o farmacologica, a volte in collaborazione con un reparto di psichiatria, ove si rendesse necessario un ricovero.

D. Nel libro si afferma che "Certi ambienti culturali hanno convinzioni ampiamente condivise e culturalmente sancite che potrebbero essere considerate deliranti in altri contesti" quanto è frequente in generale? E più speficamente, è stato riscontrato nei casi citati nel libro?
R. Nel libro riportiamo due esempi, fra i casi con patologia, di persone che sono state ricoverate in reparti di psichiatria, a cui sono state fatte diagnosi diverse, nei vari ricoveri subiti o in ambulatori nei quali erano stati precedentemente inviati. Se il terapeuta non è preparato transculturalmente, può considerare anormale un certo tipo di comportamento che è normale nella cultura del paziente. Per esempio, avere colloqui con Dio, di qualsiasi Dio si tratti, è spesso considerato un delirio, quando invece è solo un modo per non sentirsi soli ed abbandonati, per chiedere aiuto. Quando si riesce a dare loro l'attenzione dovuta, parlando la loro lingua, ascoltando il loro dolore, e rassicurandoli, il dialogo ad alta voce con Dio diventa una semplice preghiera.

D. Le caratteristiche dei migranti che si avvicendano nel nostro paese e più in generale nei paesi occidentali stanno cambiando nel tempo? Se la risposta è sì, si modificano anche le tecniche di psicologia transculturale?
R. È vero che negli ultimi 5 anni le caratteristiche dei migranti sono molto cambiate, ma non cambiano le tecniche della psicoterapia tranculturale. Il che vuol dire, molto semplicemente "mettersi nei panni dell'Altro".

D. Ci spieghi come vengono utilizzati gli strumenti (identikit culturale, test proiettivi, scala dei valori ecc.) utilizzati che permettono all’operatore di entrare in contatto con la persona straniera?
R. L'identikit culturale si può utilizzare nel primo colloquio, man mano che si ricostruisce la storia del paziente. È uno strumento che ci guida nell'anamnesi, ma soprattutto ci dice fin da subito quanto il paziente è rimasto attaccato alla sua tradizione, oppure quanto è disponibile, psichicamente, ad allargare i suoi orizzonti culturali. Gli altri test si possono fare nelle sedute successive, per completare il quadro diagnostico.

D. Quali difficoltà si presentano nell'approccio con il migrante e nella somministrazione dei test?
R. Prima di tutto la lingua, se il terapeuta non riesce a comunicare con il paziente, non si può fare niente. Se si comunica con lui, non ci sono difficoltà nel porre le domande dell'identikit, mentre ce ne sono a volte con i disegni, per esempio, soprattutto se il paziente non è mai andato a scuola. Questo risulta ben evidente nei casi riportati sul libro.

D. Quale futuro per i migranti che arrivano nel nostro paese?
R. Un futuro estremamente difficile, sia per l'alto numero dei migranti che hanno fatto richiesta di asilo, sia per le difficoltà economiche del nostro Paese. Molti dei migranti di cui parliamo nel libro, a distanza di quasi quattro anni dal loro arrivo, vivono ancora ai margini della nostra società. Hanno potuto trovare lavoro, casa, amici etc. solamente quelli che avevano un diploma di scuola superiore o universitario, conseguiti al loro Paese, ed avevano quindi già una professione.

D. Come è cambiata l'accoglienza con la conclusione di Mare Nostrum?
R. L'operazione Mare Nostrum è terminata il 30 novembre, sostituita da Triton. Lo scenario dell'immigrazione è molto cambiato. Con Mare Nostrum arrivano, in certi momenti, circa 6000 migranti alla settimana. In Mare Nostrum erano impegnate 5 navi della Marina Militare, che arrivano fino ai confini con le acque territoriali libiche, cioè a 12 miglia dalla costa del Nord Africa ed il Mediterraneo era diviso in cinque rettangoli, quindi veniva coperto tutto il Mediterraneo. Con Mare Nostrum sono arrivati circa 70.000 profughi, da ottobre 2013 a novembre 2014.

Triton costringe le piccole navi o motovedette della Guardia Costiera a restare nelle acque territoriali italiane (anche se per fortuna o per necessità a volte non è così). Ciò significa che il viaggio è diventato troppo rischioso e le rotte sono cambiate. Ultimamente, salvo rare eccezioni, i migranti arrivano tutti da Turchia e Grecia. È importante sottolineare che dei 70.000 profughi sopradetti, circa 50.000 di loro sono siriani, 15.000 eritrei, ed i restanti 5000 provengono dall'Africa sub sahariana. Siriani ed eritrei non sono rimasti in Italia, se non obbligati dal Trattato di Dublino, ma hanno proseguito verso i paesi del nord Europa. Chi si è fermato, richiedendo asilo politico, proviene sempre da Gambia, Senegal, Mali, Sudan, Nigeria. Gli stessi paesi da cui provenivano i migranti degli anni precedenti.
L'accoglienza è stata ed è tuttora un disastro, come abbiamo potuto constatare dalle ultime inchieste giornalistiche alle quali tutti abbiamo avuto accesso.
Purtroppo, nonostante le denunce, nulla è cambiato, soprattutto nelle regioni del sud Italia.

 

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